Abstract
Il testo affronta la necessità di adattare gli esercizi spirituali ignaziani alle sensibilità contemporanee, mantenendo una fedeltà creativa alla tradizione. L’autore sottolinea che l’uomo moderno, spesso ferito e in cerca di affetto, deve intraprendere un percorso di salvezza che passa attraverso l’amore e la comunione. Il messaggio centrale è che la vera salvezza si trova nel “noi”, piuttosto che nell'”io”, e che Cristo deve essere visto come un compagno di viaggio che guida verso la guarigione.
L’Autore propone una riformulazione delle tappe degli esercizi spirituali, enfatizzando l’importanza della misericordia divina e della relazione personale con Dio. Ogni fase del percorso è descritta in dettaglio, dalla consapevolezza del proprio disagio alla scoperta della propria missione nella comunità. Egli evidenzia anche l’importanza dell’accompagnamento spirituale, che deve essere un processo attivo e coinvolgente, piuttosto che un semplice trasferimento di conoscenze.
Il testo invita a riflettere su come le esperienze relazionali passate influenzino il nostro modo di relazionarci con Dio e con gli altri, suggerendo che un incontro autentico con il divino può trasformare le ferite in opportunità di crescita e amore condiviso.
The text addresses the need to adapt Ignatian spiritual exercises to contemporary sensibilities while maintaining a creative fidelity to tradition. The author emphasizes that modern man, often wounded and seeking affection, must embark on a journey of salvation that involves love and communion. The central message is that true salvation is found in the “we,” rather than the “I,” and that Christ should be seen as a companion who guides toward healing.
Bortignon proposes a reformulation of the stages of spiritual exercises, highlighting the importance of divine mercy and personal relationship with God. Each phase of the journey is described in detail, from awareness of one’s discomfort to discovering one’s mission within the community. The author also underscores the significance of spiritual accompaniment, which should be an active and engaging process rather than a mere transfer of knowledge.
In conclusion, the text invites reflection on how past relational experiences influence our way of relating to God and others, suggesting that an authentic encounter with the divine can transform wounds into opportunities for growth and shared love.
Keywords
Esercizi, Salvezza, Misericordia, Amore, Guarigione.
Exercises, Salvation, Mercy, Love, Healing.
Penso sia successo un po’ a tutti noi che diamo Esercizi: certe immagini, certi esempi di Ignazio li citiamo anche, a titolo di curiosità storica, ma poi dobbiamo trovare il modo di inserire l’esercitante in quella stessa dinamica spirituale in un modo che parli alla sensibilità dei giorni nostri, in un linguaggio che lui possa capire.
La sfida, dunque, è quella di esercitarci in una fedeltà creativa, in una inculturazione degli Esercizi, sulle orme di quel Cristo che vuole incarnarsi nell’oggi attraverso di noi.
Qual è stata la genialità di Ignazio? Aver capito, sulla propria esperienza, che c’è un percorso, fatto di passi di maturazione fra loro conseguenti, che porta l’uomo a diventare l’Uomo che Cristo ha incarnato, ossia a far proprio il suo Spirito.
Qui c’è già qualcosa di importante da notare relativamente ai punti di partenza e di arrivo.
L’uomo è ferito. Fin dalla nascita. Nasce in un contesto ferito che, con la vita, gli trasmette le proprie ferite e i propri modi deviati di farvi fronte. Ferite che nascono quando i nostri bisogni di stima e di affetto vengono negati o manipolati. L’uomo ferito non conosce la via d’uscita dalla propria situazione: per lui l’unica strada è soddisfare il proprio bisogno costi quel che costi a lui e agli altri. Crede di sapere qual è la propria salvezza, ma i comportamenti che vi portano lo avvitano sempre più nel suo malessere esistenziale.
Ma la buona notizia è che una salvezza è possibile e il suo nome è pace, gioia, libertà interiore. Per arrivarci non c’è una ricetta da seguire, ma un’amicizia da allacciare con una persona la cui vita è dimostrazione di quanto dice. E quel che dice è che l’amore è tutto. L’amore vero, quello che di due fa uno; quello che non cerca solo il bene tuo e nemmeno solo il mio, ma il nostro, di noi due assieme. Gesù è venuto a portare il messaggio del noi. E solo il vivere il noi è salvezza, perché il noi colma in maniera sana i nostri bisogni di stima e di affetto.
Il percorso dall’uomo ferito al Cristo incarnato, dall’io al noi è il percorso della salvezza. Ma quali sono i passi da fare?
Cinquecento anni fa, in un’epoca in cui Dio era al centro dell’universo, Ignazio poteva dire che Cristo era il condottiero da seguire, ciascuno mostrando tutto il proprio valore nel combattere con Lui contro le armate di Satana. Ai nostri giorni non più Dio, ma l’uomo è al centro dell’universo. In questo clima culturale, la prospettiva Cristo rimane validamente proponibile, ma occorre motivarla in maniera diversa. Oggi è più convincente un Cristo che cammina al nostro fianco mostrandoci con misericordia da dove viene il male che ci portiamo dentro e come superarlo nel bene. E l’accompagnatore è colui che avvia questo processo.
Possiamo allora pensare di riformulare le tappe del percorso ignaziano in un modo più adeguato al nostro oggi. Proviamo a vedere una possibile traccia per la dinamica, in base alla quale scegliere i brani biblici per proporre gli esercizi.
Rivisitando le tappe degli Esercizi
Principio e fondamento
È il momento di un necessario decentramento da se stessi. La persona arriva agli Esercizi con i propri problemi e rischia di pretendere una risposta. Ma, nell’ottica della risurrezione, la salvezza di Dio arriva sempre come un dono inaspettato e imprevisto a chi si affida. Occorre allora aiutare la persona a lasciare da parte la propria via alla felicità e accorgersi che da sempre e comunque Dio sta cercando di portarla alla felicità. Questo non significa che i problemi non ci siano, ma che hanno il loro posto in un contesto che è fatto anche di bene e di bellezza. Portato al cospetto di ciò che è Vita, il cuore si rende disponibile a cercarla, abbandonando i propri schemi.
È la nascita della speranza.
Prima settimana
Lasciando che lo sguardo della persona ritorni sul proprio disagio di vivere, sottolineiamo che la misericordia di Dio è, prima di tutto, un dirci che noi non siamo il nostro peccato, ma siamo le vittime di una storia di peccato… da cui possiamo uscire.
Renderci conto di ciò che è successo è il primo passo, ma non basta. Guarisco quando nella mia mente, nel mio cuore, nel mio corpo le ferite vengono sostituite dall’esperienza di una relazione personale con un Dio che, a me suo figlio, vuol dare quella stima e quell’affetto che mi spettano per diritto di figlio: “Sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e io ti amo”. Posso allora entrare con fiducia nel suo abbraccio. E in questo abbraccio cominciano a sciogliersi le rigidità, cominciano a rimarginarsi le ferite che finora mi hanno portato ai miei comportamenti sbagliati.
È la nascita della fede.
Seconda settimana
Se l’incontro con Dio mi ha guarito, la relazione con Lui vuol farsi stabile e metterci sempre più in comunione reciproca. Ma, ogni volta che incontro il suo sguardo per immergermi in Lui, mi accorgo che il suo sguardo non è puntato su di me, ma abbraccia me e tutti, assieme. Quello che finora ho sentito il Dio per me comincio ora a comprenderlo come il Dio con me per gli altri; ed essere con Lui è stare dove Lui è, in comunione con tutti.
Ma io sono io con quel che sono. Qual è allora il mio specifico posto nella sua missione? Qual è il mio “carisma”? Scoprirlo e viverlo è assumere responsabilmente il mio posto nell’incarnarsi di Cristo nell’oggi.
È la nascita dell’amore.
Terza e quarta settimana
Sullo sfondo della Pasqua di Cristo, le scelte che stanno cominciando ad alzarsi sul mio orizzonte vengono passate al vaglio. La Passione mi chiede di pesarne le difficoltà, di guardare in faccia le rinunce che comportano. Ma la Risurrezione mi mostra la risposta di Dio: al mio “magis” corrisponde un “ultra” e al mio dubitare subentra lo stupore. A Dio non basta un uomo guarito: lo vuole risorto. È la differenza che passa tra camminare e volare.
Non posso immaginare la mia risurrezione, ma posso gustarla nel sogno che Dio nutre sull’umanità e che ho cominciato a vedere in suo Figlio.
A questo stadio, la speranza, la fede e l’amore sono diventate uno Spirito che agisce in me per portarmi, in ogni situazione, alla risurrezione.
Ad amorem
È il momento di guardare al cammino percorso per raccoglierne i frutti. E, nel ringraziamento, riconoscere come e quanto Dio è stato presente per farli maturare.
Se davvero sono da Dio, non li sentirò solo per me, ma, attraverso di me, per me e per tutti. È il passaggio definitivo dall’io al noi. È il Natale di Cristo in me.
Ignazio dice che gli Esercizi servono per mettere ordine nella propria vita. Una vita in cui però si rientra al termine degli Esercizi ed è allora, negli eventi della vita di ogni giorno, che il fare ordine diventa sfida e compito. Negli Esercizi non abbiamo progettato come fare, ma abbiamo incontrato con chi farlo. È avvenuto questo incontro?
Una volta ho riunito diverse persone a cui nel passato avevo dato gli Esercizi e ho chiesto loro cosa rimanesse, nella vita di ogni giorno, dell’esperienza fatta. Sorprendentemente, la risposta è stata unanime: il senso di una Presenza. Dio era diventato una presenza concreta accanto a loro, il “Non temere, io sono con te” era diventato una realtà vissuta. E questo cambiava tutto. Non è già, questa, risurrezione?
Il fondamento psicologico
Proviamo a dare un fondamento psicologico a questo modo di procedere.
Forse già altre volte, avvertendo in modo particolarmente profondo la sofferenza che il tuo comportamento compulsivo causava a te stesso e agli altri, hai cercato di cambiare impegnandoti con tutte le tue forze… senza riuscirci. Come mai? Non puoi chiedere a te stesso di dare ciò che non possiedi: sai bene che è giusto amare, ma, alla prova dei fatti, non ci riuscirai se prima non ne hai fatto esperienza in quanto amato. Non potrai essere onesto, buono, disponibile se nessuno lo è stato con te, o lo è stato in maniera manipolatoria.
In termini teologici, l’uomo non può darsi la salvezza da solo. È invece l’esperienza di essere amato (e nell’amore di Dio può colmare le carenze umane) che gli permette di amare a sua volta.
Per un’autentica conversione di vita, dunque, non è sufficiente aver scoperto le cause del problema e individuato i corretti comportamenti da adottare: hai bisogno della grazia di Dio, di un’esperienza di amore che guarisca le tue ferite e ti dia la forza necessaria per amare a tua volta.
Ma dove nasce il problema?
Se nelle prime fasi evolutive della tua vita (le più delicate in quanto è in esse che si è formato il tuo carattere), si sono verificati dei problemi con le persone che per te erano affettivamente significative (per lo più i genitori), la tua relazionalità ne sarà risultata disturbata: alle persone che oggi, per il loro ruolo, ti ricordano l’immagine materna o paterna attribuisci allora quelle caratteristiche del genitore delle quali hai fatto esperienza. Il preconcetto che così si è formato nasconde ai tuoi occhi ciò che l’altro realmente è, gli si sovrappone e suscita in te lo stesso modo di reagire di un tempo: non a colui che ti sta di fronte reagisci, ma al fantasma di tua madre o di tuo padre.
Così succede anche nei confronti di Dio: l’esperienza negativa vissuta nel rapporto con la figura materna o paterna si trasferisce sulla figura di Dio, rivestendolo di un’immagine falsata.
Questo trasferimento di esperienze vale però anche in senso inverso: se l’esperienza fatta col genitore influenza pregiudizialmente il rapporto con Dio, d’altra parte un’esperienza di relazione con Dio affettivamente ricca e intellettualmente onesta e significativa può aiutarti a colmare le carenze affettive e raddrizzare le visioni distorte della vita che hai elaborato nel corso di esperienze negative dell’infanzia a contatto con genitori o altre figure adulte dominate da comportamenti compulsivi (tieni presente: spesso non per colpa loro, ma perché anch’esse sono state vittima di analoghe esperienze).
Possiamo dunque dire che l’esperienza di relazione che hai vissuto con una certa persona costruisce un’immagine che viene estesa a tutte le figure aventi il medesimo o analogo ruolo, trasformandola così in simbolo: da tutti i padri e le figure che al padre si ricollegano (superiori, autorità, educatori, guide, marito, Dio-Padre) ti aspetti pregiudizialmente un comportamento analogo a quello di cui hai fatto esperienza col padre-genitore; allo stesso modo, da tutte le madri e le figure che alla madre si ricollegano (donne, moglie, agenti di cure, Dio-Madre) ti aspetti pregiudizialmente un comportamento analogo a quello di cui hai fatto esperienza con la madre-genitrice.
Ma a loro volta queste ulteriori figure integreranno con il loro modo di essere, a volte anche modificandola radicalmente, l’immagine simbolica che il padre o la madre riveste nella tua coscienza affettiva e razionale.
È proprio su questo meccanismo di integrazione e modifica che l’accompagnamento spirituale punterà per aiutarti a guarire il tuo modo di relazionarti con gli altri. Rifacendo il “look” all’immagine di Dio, ricostruirà la tua esperienza di figlio e, conseguentemente, il tuo modo di vivere con gli altri.
Perciò:
• contro l’esperienza di un genitore sminuente, che ti ritornava un’immagine negativa di te stesso, incontrerai un Dio che ha fatto tutto, a cominciare da te stesso, bene e per il bene;
• contro l’esperienza di un genitore dispotico e ricattatore, che condizionava l’affetto che ti dava all’osservanza della sua volontà, incontrerai un Dio che ti dà i mezzi per costruire la tua avventura nella vita e gode della tua creatività;
• contro l’esperienza di un genitore iperprotettivo e soffocante, che non si fidava di farti sperimentare la vita autonomamente e pretendeva di gestirla al posto tuo, incontrerai un Dio che ti aiuta a crescere nella responsabilità, lasciandoti libero nelle tue scelte e recuperandoti nei tuoi errori;
• contro l’esperienza di un genitore che strumentalizzava le tue scelte ai suoi bisogni di realizzarsi, incontrerai un Dio che in Cristo ti offre la sua esperienza di vita per aiutarti nelle tue grandi scelte al fine di realizzare appieno le tue capacità e sensibilità e diventare così quel che puoi essere;
• contro l’esperienza di un genitore che ti amava in misura proporzionale al tuo corrispondere ai suoi progetti, incontrerai un Dio che ti assicura il suo amore comunque, anche nel momento in cui lo rinneghi o lo uccidi;
• contro l’esperienza di un genitore inetto, che si faceva sommergere dai problemi della vita, incontrerai un Dio che ti apre alla speranza di un avvenire migliore, di poter uscire dalle situazioni più disgraziate e impossibili, mostrandoti nella resurrezione del Figlio l’esito del vivere nel suo Spirito.
Ritrovando in Dio una madre e un padre che svolgano appieno il loro ruolo di accoglienza e di guida nei tuoi confronti, colmando i tuoi bisogni di affetto e di stima, cambierà la tua immagine del genitore, nei confronti della figura del quale, in chiunque riconosciuta, non proverai più paura e dunque non ti sentirai più compulsivamente spinto a comportamenti scorretti.
Parallelamente cambierà anche la visione di te stesso e delle persone che inconsciamente assimili a te stesso: i deboli, gli inferiori, i sottomessi, i poveri, i diversi rispetto a te, come tu lo sei stato rispetto alla figura genitoriale da cui ti sei sentito sminuito e calpestato.
Poiché queste persone ti rimandavano come uno specchio la tua immagine che non potevi accettare, pena la caduta dell’autostima (nel qual caso avresti potuto piombare nella disperazione), per sottolineare la tua differenza, la tua distanza da loro, finora le hai a tua volta disprezzate, a volte anche calpestate con aggressività manifesta o con pretese irrealistiche, nella stessa logica manipolatoria che tu hai subito. Cadute le proiezioni dei tuoi fantasmi sulla realtà che stai vivendo, recupererai la tua libertà interiore e, svincolandoti dalle reazioni stereotipate di difesa o di aggressività, prenderai ora le tue decisioni con serenità e realismo (in base a discernimento), esprimendo nel tuo agire quel che hai vissuto nella relazione con Dio.
Un percorso spirituale o un vagabondare spirituale?
Oggi, giustamente, si è molto attenti ad aiutare l’esprimersi della persona, che, già con la possibilità di esternare il proprio vissuto, ha l’occasione di comprenderne lo svolgersi, tanto più se l’accompagnatore sa ripresentarglielo in maniera ordinata.
Ma, come abbiamo detto, il suo futuro si ritrova prigioniero dei soliti meccanismi di reazione agli eventi.
E qui l’accompagnatore può essere tentato di imboccare due comode strade, che ignaziane certo non sono: la prima, seguendo Rogers, assecondare le soluzioni che l’esercitante può visualizzare; la seconda, diventare direttivo, fargli da papà, suggerendogli la strada da percorrere, dandogli dei buoni consigli. In entrambi i casi si scarica dalla tensione di stargli accanto nei suoi problemi, ma non l’ha aiutato.
Ignazio dà all’esercitante gli strumenti per camminare e, assieme, delle indicazioni di percorso che portano a una comunione affettiva ed esistenziale, vissuta, con Cristo. L’esercitante è protagonista accompagnato verso un orizzonte di senso ben definito. E l’accompagnatore è coinvolto in prima persona in questa storia, ma in Dio. Mi piace questa immagine: Dio tiene in braccio e me e chi accompagno e ci chiede semplicemente di tenerci l’un l’altro per mano, invitandoci ad ascoltarLo.
Aggiornare è allora, sì avvalersi degli strumenti che le scienze umane, la psicologia in primis, possono metterci a disposizione per capire come funzioniamo dentro, ma avendo ben presente che non possono dirci il verso dove. La direzione da prendere è una scelta nostra, fatta basandosi sulle nostre convinzioni “religiose”, decidendo cioè quale senso vogliamo dare alla nostra vita. Negli Esercizi il nostro obiettivo è chiaro: ricapitolare l’uomo in Cristo. Se non sappiamo con precisione dove andare, rischiamo di trovarci altrove e di non accorgercene.
Il fattore umano
Il problema di aggiornare Ignazio non è solo questione di traduzione dei testi o di adeguamento delle dinamiche grazie alle più recenti acquisizioni psicologiche. Aggiornare significa inculturare, rendere un percorso accessibile al quotidiano della gente, che vi si accosta con una storia personale fatta di problemi, di difficoltà, di sofferenze, di fatiche, di fragilità caratterizzate dal qui e ora in cui viviamo. Questo processo di inculturazione è fatto dall’accompagnatore, che si affianca con la propria storia, attraversata dagli stessi problemi, difficoltà, sofferenze, fatiche, e fragilità, alla storia di chi accompagna. Una storia trasformata dalla relazione con Dio si affianca a una storia che cerca salvezza. La propria storia aiuta l’accompagnatore a capire la storia dell’altro; e l’altro sente, nello spessore di concretezza e nella forza di ciò che dice chi lo accompagna, che le sue parole vengono da quell’esperienza di Dio nella vita che ora gli viene proposta. Lo Spirito non agisce in maniera disincarnata, ma per aiutare l’esercitante prende da ciò che l’accompagnatore è e sa. Non posso accompagnare a Dio se non sono in Dio nei problemi, nelle difficoltà, nelle sofferenze, nelle fatiche, nelle fragilità che vivo ogni giorno. E il come le vivo passa in quello che dico. Ma, anche senza dire niente di significativo, il mio essere in Dio comunica qualcosa che per la persona può essere decisivo: tocco allora con mano il fatto che non sono le mie parole l’essenziale, ma che attraverso di me la persona senta che Dio c’è, e, come c’è per me, così può esserci anche per lei; in questo senso l’accompagnatore adempie la funzione dell’“amico dello sposo”, che crea l’incontro e poi si ritira.
Se è la storia con Dio dell’accompagnatore a fare la differenza, ne consegue che lui per primo ha bisogno di essere accompagnato spiritualmente: non è di una supervisione che ha bisogno, di un controllo sul suo modo di accompagnare gli esercitanti (se ha bisogno di un parere o di un consiglio sarà lui a chiederlo!), ma che lo si aiuti a tener alto il livello della sua vita spirituale, perché è questo a determinare la qualità del suo accompagnamento.
Questo modo di sentire non è, in fondo, quello di Ignazio? Nell’ “Autobiografia” offre la propria storia a chi ha bisogno di un confronto significativo nella propria ricerca di Dio e negli “Esercizi” la trasforma in proposta di percorso per tutti, facendo tesoro degli errori, delle comprensioni e delle conquiste che in essa ha raccolto.
Un’ultima considerazione, interessante da esplorare nelle mutate condizioni odierne, in cui ad accompagnare sono anche i laici. Ogni accompagnatore condivide la situazione dell’esercitante, ma alcuni ne condividono anche la condizione, lo stato di vita, ossia una situazione particolare: laici che accompagnano laici. Non è indifferente. I riscontri me lo confermano: «Se stai vivendo quel che vivo io, puoi capirmi; se l’hai fatto tu, posso farlo anch’io». Le parole assumono un peso differente, viene tolto il dubbio sulla loro applicabilità per la distanza che separa esperienze diverse. C’è una vita vissuta che parla a una vita vissuta. Anche questa è una carta da giocare: quanto più la condizione e la situazione dell’accompagnatore è simile a quella che la persona sta vivendo, tanto più essa sente desiderabile e possibile anche a lei il percorso che le viene proposto.
Ignazio avrebbe aggiornato?
A volte rischiamo di essere più ignaziani di Ignazio: ci chiudiamo nei confini del testo degli Esercizi e lo affrontiamo in infiniti commenti anziché coglierne lo spirito che aveva animato Ignazio nello scriverlo e usarlo come bussola per orientarci nell’accompagnamento, aperti a ciò che può arricchirlo, curiosi e creativi.
In fondo anche Ignazio sottopose quel che faceva a un continuo aggiornamento. Ce ne parla nell’”Autobiografia” come di un processo di conversione da un io che decide di fare per Dio all’io che lascia spazio a Dio, da un atteggiarsi a persona spirituale a un essere tramite dello Spirito. A Manresa abbraccia la trascuratezza come via di liberazione dall’ego, riempie la sua giornata di devozioni e pratiche ascetiche, non riesce a liberarsi dagli scrupoli, troppo preso da un malinteso senso di perfezione. Tutto in buona coscienza, pensando di fare il meglio. Ma, “risvegliandosi come da un sogno” [25], comprende la vanità della sua ricerca di farsi santo e si mette in ascolto. “Gli si aprirono allora gli occhi dell’intelletto e conobbe e capì” [30]. L’io si lascia perdere e si perde in Dio.
E’ un’esperienza che talora si fa nel colloquio di accompagnamento, quando l’esercitante parla di situazioni che superano assolutamente le tue capacità. Lì il tuo metodo e le tue parole evaporano e ti ritrovi muto. E’ un momento di grazia… se ti arrendi. Il Signore ti mette la mano sulla bocca e ti dice «Lascia parlare me». Resta in silenzio e in preghiera. Resta con Dio e con la persona. E allora lo Spirito inizia a parlare attraverso di te e tu lo ascolti. Lasci sia Dio ad “aggiornarti”. Come faceva con Ignazio: “Dio si comportava con lui come fa un maestro di scuola con un bambino: gli insegnava” [27].
Aggiornamento è allora un altro nome della conversione continua mossa dallo Spirito Santo. Aggiornarci e aggiornare è il nostro modo di aderirvi.
In quale forma?
Ignazio, logicamente, non poteva parlare di aggiornamento per gli Esercizi che aveva appena formulato. Ma che fosse su questa linea lo dimostra il fatto che usa una parola simile: adattamento. Dal tempo ci spostiamo nello spazio, alle diverse tipologie di persone che potrebbero essere aiutate attraverso gli Esercizi (cfr. annotazioni 18-20).
Possiamo allora pensare a come aggiornare gli adattamenti degli Esercizi.
La forma più semplice, molto adatta a questi nostri tempi di indifferenza religiosa, è quella della condivisione informale: Ignazio “…stava ad ascoltare quello che si diceva e fissava l’attenzione su alcuni argomenti da cui prendeva occasione per parlare di Dio” (Autobiografia 42). Si può fare con chiunque, in qualsiasi situazione, dando profondità agli argomenti di cui si sta chiacchierando. E questo parlando di sé, di come viviamo certe cose che sono di tutti e del perché le viviamo così. Gli altri a volte si difendono, a volte seguono, ma intanto qualcosa è passato.
Un’altra modalità, che si può proporre a gruppi già esistenti o nell’ambito di qualche iniziativa altrimenti programmata, è quella di una serata da vivere in condivisione reciproca a partire da spunti di approfondimento che si innestano nella dinamica degli Esercizi (come descritta più sopra). Non occorre partire necessariamente dalla Parola: con persone semplici e lontane, un fatto, un racconto, una canzone a volte possono essere spunti più efficaci. L’importante è porre domande che smuovano al profondo.
Ci sono poi gli Esercizi veri e propri in ritiro. Vedo chiamare Esercizi dei corsi di approfondimento su tematiche bibliche con lezioni frontali e, se va bene, la disponibilità per dei colloqui. Cosa manca? L’accompagnamento! O, quantomeno, una dinamica che aiuti a entrare nella Parola con la propria vita. Non è detto che chi partecipa sappia pregare e quindi possa accompagnarsi da solo all’interno di queste proposte. Ottime, ma chiamiamole con un altro nome.
Negli esercizi in ritiro, si deve far fronte a una difficoltà e a una fragilità.
La difficoltà è la disponibilità di tempo dei partecipanti. Per un laico con famiglia, ritagliarsi una settimana può essere difficile; l’adattamento aggiornato può allora consistere nel prevedere uno o più week end o cicli di serate/giornate nell’arco dell’anno: è una proposta più percorribile. Strutturiamole però in forma di Esercizi rendendole occasioni di lavoro su sé stessi assieme agli altri e seguendo un modo e un ordine.
La fragilità di questa forma di Esercizi è che mentre li stai facendo, in un ambiente in cui tutto ti parla di Dio, il futuro sembra arridere alla tua disponibilità. Poi l’impatto con la realtà, in cui tutto ritorna difficile e complicato.
L’aggiornamento che trovo allora più riuscito è quello del mese ignaziano diluito in due anni, senza allontanarsi dalla vita di tutti i giorni. Trent’anni di esperienza me ne confermano la validità. In due anni c’è il tempo perché ogni problema possa emergere e si possa provare e riprovare come affrontarlo con Cristo. E c’è tutto il tempo per un accompagnamento serio.
Conclusioni
Siamo arrivati alla fine del percorso: gli Esercizi sono stati proposti secondo dinamiche aggiornate da un accompagnatore che vive con Dio nello stesso oggi dell’esercitante. Attraverso questo percorso, Dio padre e madre ha guarito l’io ferito di questa persona ridandole la possibilità di instaurare relazioni sane; Cristo ha dato l’amore come orizzonte di senso a questa sua possibilità; lo Spirito Santo, che ora vive in lei come fede, speranza e amore, le dà il modo di trasformare questa possibilità in capacità.
È davvero questo che succede? Da parte nostra possiamo solo sperarlo e predisporre le condizioni perché questo avvenga. E nel fare il possibile rientra non solo applicare un metodo, ma viverlo in prima persona perché attraverso di noi esso possa trasmettersi trasformato dalla nostra esperienza. È attraverso questa “incarnazione” che il metodo si aggiorna.