Sguardo su alcuni sviluppi essenziali dell’educazione scolare nel generalato di S. Ignazio di Loyola (1541-1556)

di Paul Oberholzer S.I.

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Abstract

Il testo fornisce una panoramica sugli sviluppi essenziali dell’educazione scolastica durante il generalato di Ignazio di Loyola (1541-1556). Evidenzia come l’istruzione scolastica fosse strettamente legata all’educazione religiosa, con il Concilio Lateranense V che richiedeva ai maestri di insegnare non solo grammatica e retorica, ma anche dottrina cristiana. Inoltre, il testo descrive le trasformazioni dell’educazione scolastica in Italia nel XV e XVI secolo, con il passaggio dalle scuole comunali a quelle gestite dall’aristocrazia e dalla Chiesa, accompagnato da una crescente clericalizzazione del corpo docente. Infine, il testo analizza i primi documenti della Compagnia di Gesù, che attribuivano un ruolo centrale all’insegnamento della fede al popolo.

Keywords

Educazione scolastica, riforma, Compagnia di Gesù, insegnamento, clericalizzazione

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«Schola di Grammatica, d’Humanità e Dottrina Christiana, gratis»[1] ‒ questa è l’iscrizione presente su un’etichetta appesa da Ignazio di Loyola sulla porta del Collegio Romano il 22 febbraio 1551, alla vigilia della sua apertura. Quest’iscrizione ha suscitato una grande attrazione – soprattutto negli ultimi decenni, a causa del crescente interesse negli impegni sociali dei primi gesuiti. Ignazio qui appare coraggioso nella decisione di cambiare le condizioni dell’educazione.

In questo studio vogliamo domandarci che cosa fosse stato veramente innovativo nello stabilimento del sistema scolare ed educativo della giovane Compagnia di Gesù. Infatti, l’Italia è la culla dei comuni. Dall’XI secolo i borghesi, come nuovo ceto sociale, cominciarono ad organizzarsi in autonomia, avendo come punto di partenza le città dell’Italia settentrionale. L’educazione e la scuola comunale hanno avuto sin dall’inizio un ruolo chiave nell’identità dei borghesi. Due secoli più tardi sorgeva l’umanesimo, la cui origine era anche in Italia, ma con profonde ripercussioni su tutta l’umanità. Ovviamente, l’umanesimo non si realizzava soltanto in cerchi intellettuali di altissimo livello, ma coinvolgeva anche delle ampie fasce della popolazione. In altre parole, l’Italia è il paese par excellence dei licei pubblici. Nemmeno il collegamento dell’insegnamento con la dottrina cristiana, da parte di Ignazio, era innovativo. La relazione tra questi due fattori variava dal Tre- al Cinquecento, ma era generalmente data per scontata.[2] E la parola «gratis»? Gli aspetti economici hanno sempre una rilevanza sociale, ma c’è da chiedersi che cosa realmente significhi «gratis» nel contesto sociale di una città italiana alla metà del XVI secolo. E comunque, il Collegium Romanum è stato davvero la prima scuola accessibile senza pagamento?

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Limitazione dell’argomento

Se prendiamo in considerazione il collegamento tra Sant’Ignazio di Loyola e la pedagogia, cioè se ricerchiamo la rilevanza della pedagogia nella sua biografia e nella sua opera, la Compagnia di Gesù, dobbiamo renderci conto che ogni riflessione sul come mediare dei valori da una persona a un’altra o a un gruppo contiene un aspetto pedagogico. Alla fine, tutte le riflessioni e tutte le attività d’Ignazio sono in fondo determinate dalla guida o dall’accompagnamento di persone verso una relazione personale con Gesù Cristo. Cioè, quasi tutto in Ignazio ha qualche riferimento con la pedagogia: gli esercizi spirituali sono essenzialmente pedagogici, anche la cosiddetta autobiografia è stata composta con un’intenzione pedagogica – cioè, di fornire delle informazioni affinché siano scritte opere per edificare ed animare i gesuiti futuri nella loro vita religiosa.[3] Anche l’ideale della visio beatifica non si ferma in sé stessa ma era piuttosto una base per la condivisione dei contenuti rivelati affinché anche altri potessero fare tale esperienza. Insomma, tutto il grande ma generico ideale di aiutare alle anime intende un accompagnamento educativo nel cammino verso la salvezza. Così è inevitabile fare una scelta, o selezione, per questo studio – che è quella dell’educazione scolare.

È ampiamente riconosciuto ed evidente che Ignazio non ha mai inteso fondare un ordine di ricercatori. Al suo centro non erano né le università né la pubblicazione di opere scientifiche e neanche le dispute teologiche in sé. Ciononostante, frequentare l’università – e non una qualsiasi, ma piuttosto quelle di prestigio – era, per lui, importante. Alcalá de Henares e Salamanca erano i centri docenti più riconosciuti in Spagna nel suo tempo, e Parigi era considerata, in assoluto, l’università di qualità superiore. Se per Ignazio un profondo studio accademico non fosse stato prioritario, cioè se avesse voluto accedere all’ordinazione sacerdotale soltanto per celebrare i sacramenti e per insegnare il catechismo alla gente illetterata, avrebbe potuto frequentare la scuola cattedrale di Pamplona. Malgrado questo orientamento accademico incontestato, predomina l’osservazione che la stima d’Ignazio verso l’educazione accademica fosse essenzialmente legata alla mediazione con un forte carattere educativo. Così le dispute facevano parte del quotidiano dei collegi dei gesuiti – ma sempre al servizio dell’educazione.

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Il Concilio Lateranense V (1512-1517)

Il Concilio Lateranense V contiene nei suoi decreti tante decisioni che testimoniano una seria premura di riformare la chiesa. Anche se il concilio deve essere considerato come fallito per la mancata decisione di porre in atto i suoi postulati, varie intenzioni di riforma hanno mantenuto una presenza nella chiesa e nei discorsi dei suoi responsabili.

Il decreto 9 del 5 maggio 1514 contiene un appello a tutti i maestri ed educatori a dedicarsi, oltre all’insegnamento di grammatica e retorica, cioè delle discipline di un liceo, anche a quello della religione, dei comandamenti, della fede, della liturgia e della vita dei santi per motivarli a frequentare la chiesa e ad accedere ai sacramenti.[4] L’intenzione di riforma è ovvia e si comprende facilmente dai decreti che la riforma della chiesa era determinata dal presupposto di un forte collegamento tra l’insegnamento scolare e l’educazione nella fede. Inoltre, da una lettura attenta risulta chiaro che il Concilio si riferisce all’insegnamento della materia liceale, della grammatica e retorica e non alla scuola elementare. I destinatari sono maestri di licei ed adolescenti preparati ad assumere responsabilità nella società. Quindi, le discipline del liceo insieme con le conoscenze dei contenuti del cristianesimo sono considerate la base per la preparazione a una buona condotta di vita con cui si aiuti a stabilire una società sana.[5] Rimane notevole che nel decreto non si trovi nessun accenno che i giovani dovessero essere guidati al sacerdozio o alla vita consacrata. Non vi è inoltre alcuna indicazione che i maestri fossero preferibilmente di stato religioso o clericale, anzi prevale l’impressione che gli insegnanti facciano parte della classe laicale.

Se si aggiunge alla ricerca il decreto 11 del 19 dicembre 1516 che si esprime a favore di un rinascimento dell’antica tradizione cristiana delle omelie, si vede che la mediazione nozionistica della fede era un attributo caratteristico di ogni programma di riforma della chiesa nei decenni precedenti alla fondazione della Compagnia di Gesù.

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L’educazione scolare in Italia nel Quattro- e Cinquecento

Le condizioni dell’educazione scolare in Italia durante il Quattro- e nella prima metà del Cinquecento erano caratterizzate da profonde trasformazioni causate da due fattori: uno era la Riforma protestante cominciata immediatamente dopo il Concilio Lateranense V e che aveva avuto dei precedenti e forti impatti in Italia, soprattutto nell’ambiente scolare, che però non sono stati percepiti e neanche profondamente studiati perché, nella seconda metà del Cinquecento, la Riforma cattolica era pienamente riuscita. Il secondo fattore era costituito dai comuni che avevano trascorso periodi di forte autonomia seguiti da cambiamenti essenziali. Tra l’altro, quest’autonomia radicata nel movimento comunale del XI secolo trovava le sue manifestazioni nelle scuole pubbliche. Il municipio che le gestiva impiegava e pagava i maestri che poi richiedevano dai singoli allievi un ulteriore pagamento – ma non tale da essere considerato sfruttamento. Tali scuole comunali esistevano, con il proprio corpo docente, in tutte le città, anche a Roma. Esistevano anche scuole private fondate da confraternite o da monasteri che seguivano lo stesso schema delle scuole pubbliche, accessibili a una ampia scolaresca – anche proveniente dalla campagna. Di solito, in quel tempo, il maestro era laico. Qualche presenza marginale in questo ambiente era quella dei mendicanti, collegati essenzialmente con la società urbana.

Le loro scuole erano anzitutto destinate alla formazione dei propri membri, anche se non erano mai completamente chiuse al popolo. Ci sono stati francescani e domenicani chiamati all’insegnamento nelle scuole pubbliche, e esistono anche testimonianze di novizi e giovani mendicanti mandati dai loro superiori alle scuole municipali con un maestro laico.

Durante il corso del Quattrocento l’autonomia dei comuni fu continuamente limitata a causa del sorgere delle signorie e alla creazione di unità politiche più grandi. In sintonia con questa dinamica furono marginalizzate le scuole pubbliche gestite dai municipi, mentre nuove scuole furono fondate e mantenute dall’aristocrazia o dalla nobiltà locale che si impadronivano di tutti gli aspetti del governo. Le scuole continuavano ad essere aperte a un ampio cerchio di giovani, però in questo corso la scuola assumeva anche la funzione di manifestazione di potere, di prestigio e di un servizio effettuato dal signore verso la sua popolazione.

Insomma, non si può parlare di un abbandono dell’educazione pubblica; la scuola passava continuamente nelle mani dell’aristocrazia conservando però le condizioni di accesso precedenti. L’insegnamento però era sempre meno orientato all’identità e alle esigenze del proprio comune, ma sempre più verso ambienti ed ideali più ampi. Tale sviluppo non rimaneva incontestato, sorgeva soprattutto dagli insegnanti delle scuole comunali che si sentirono costretti a stare sulla difensiva. Mentre questi maestri prima preparavano i giovani ad assumere responsabilità nel proprio comune, adesso facevano fatica a identificarsi con la formazione in vista dell’amministrazione funzionale del principe. Così continuavano da un lato a favorire il valore dell’insegnamento orientato alle condizioni locali; dall’altro, cominciarono ad aprirsi a nuove idee intellettuali e critiche nei confronti del sistema – comprese quelle della Riforma, che in Germania risuonavano soprattutto tra la borghesia. In altre parole, le scuole divennero anche luoghi di riflessione sulla riforma della Chiesa e gli insegnanti sostituivano l’orientamento politico ed amministrativo con la formazione della coscienza personale. Su questo sfondo, ovviamente, le signorie e le aristocrazie governanti percepivano il corpo docente sempre più pericoloso e sovversivo.

Su questo sfondo si osserva nelle signorie e nella nobiltà la preoccupazione e la riflessione su come l’educazione scolare potesse diventare strumento d’integrazione della gioventù nella propria unità politica. Sulla base della stessa intenzione, l’aristocrazia prendeva in maggiore considerazione l’educazione delle classi sociali più basse, esonerando i poveri da ogni pagamento. Tale processo andava di pari passo con una più profonda acquisizione dei valori della Chiesa cattolica. Lo stesso collegamento era promosso nell’ambiente tedesco al nord delle alpi, dove si decideva di seguire le dottrine dei riformatori protestanti.

In Italia si concretizzava questa nuova dinamica con una forte e persistente clericalizzazione del corpo docente. Per esempio, fino al 1582 nel dominio veneziano, il 65 per cento degli insegnanti appartenevano allo stato clericale. In campagna, quasi tutti gli insegnanti erano sacerdoti.

Insomma, si può constatare che dal Quattrocento fino alla metà del Cinquecento, le condizioni dell’educazione scolare si trovavano in un forte processo di trasformazione. Le autorità signorili prendevano sempre più nelle loro mani la gestione delle scuole, eliminando la tradizione tardomedievale con il suo aspetto comunale. Mentre prima le scuole erano luoghi di preponderanza laica con un collegamento cristiano, ora diventavano sempre di più clericali, concretizzando l’aspetto religioso in un orientamento decisamente cattolico.[6] In questo ambiente fu formulato il decreto 9 del Concilio Lateranense V, i cui partecipanti erano di maggioranza italiana.

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I primi documenti di fondazione della Compagnia di Gesù

Nella ricerca di indizi su aspetti d’insegnamento nei documenti dei primi compagni dal 1539 al 1541, si rivela in primo luogo che le Conclusiones septem sociorum del maggio e giugno 1539 conferiscono un ruolo centrale all’insegnamento di base della fede alla gente semplice a cui ogni membro della Compagnia deve dedicare 40 giorni all’anno. Rimane soltanto da costatare che le disposizioni non sono del tutto chiare.[7] La faccenda viene ripresa nella Prima Societas Jesu Instituti Summa dell’agosto 1539 in cui è espressa la convinzione che tale insegnamento serva da fondamento su cui costruire l’edificio della fede.[8] Questo programma viene concretizzato nelle Constitutiones anni 1541 che specificano l’insegnamento di stile introduttivo dei comandamenti, dei peccati, della confessione e delle preghiere.[9] È sicuramente notevole che a proposito di pedagogia ed insegnamento questi documenti, che rispecchiano le idee fondamentali dei primi gesuiti, si orientino esclusivamente all’insegnamento degli illetterati e dei fanciulli.

Così rimane notevole che queste disposizioni non toccano in nessun aspetto il decreto del Concilio Lateranense V che s’indirizza a un insegnamento liceale. Neanche nel decreto De Collegiis et Domibus fundandis si trova un riferimento a un’educazione superiore. Secondo questa fonte i collegi erano stabiliti soltanto come alloggi di gesuiti in formazione o futuri gesuiti che studiavano in una università vicina.[10] Tuttavia, tale omissione dell’elemento accademico è sorprendente perché già nel 1537 Diego Laínez e Pierre Favre furono incaricati da Paolo III di leggere corsi di teologia all’università La Sapienza a Roma. Nel 1542 Favre continuò l’insegnamento all’università di Magonza e Claude Jay assunse un anno dopo la cattedra di teologia a Ingolstadt.[11] Il fatto che nei primi documenti manchi la dimensione accademica, in cui parecchi dei primi gesuiti erano presenti, solleva la questione della reale funzione di tali testi fondativi. È certamente importante rendersi conto che si tratta di atti di natura programmatica, non adatti a ricostruire le condizioni di fatto.

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Il primo tipo di collegio

Dal paragrafo precedente vediamo chiaramente confermata l’immagine ampiamente stabilita nella comune consapevolezza gesuita: preferenza dell’insegnamento catechistico agli illetterati e la gestione di collegi come internati per i propri membri in formazione. Uno sguardo più attento alla documentazione conservata degli anni quaranta rivela però che tale concetto non è del tutto coerente. È senz’altro notevole che le Constitutiones Scholasticorum S.I. del 1546, composte con grande probabilità da Diego Laínez, non fanno nessun accenno alle scuole pubbliche benché la prima fosse stata fondata nello stesso anno a Gandía.[12] Nonostante l’inequivocabilità di queste regole ufficialmente stabilite, le lettere di Diego Laínez, Claude Jay e Ignazio testimoniano una realtà della vita quotidiana nei primi collegi che si discostava in tanti aspetti. Tuttavia nei primi collegi di Padova o Parma furono inviati anche dei giovani ragazzi per studiare materie liceali come la grammatica in scuole esterne, mentre alloggiavano nei collegi studiando «en la obediencia de la Compañía» – con la prospettiva di una possibile entrata nel noviziato.[13] Ma non soltanto questo. Nel primo periodo del Concilio di Trento, nel 1546 Claude Jay negoziò con Guillaume Du Prat, vescovo di Clermont Ferrand, che intendeva fondare un collegio a Parigi e mettere la sua gestione nelle mani della Compagnia di Gesù. Perché questo collegio era dotato dai beni della diocesi, la Compagnia si obbligò ad accogliere anche dei chierici poveri provenienti da questa diocesi per vivere come i gesuiti e per essere accompagnati da loro. Il vescovo espresse così il desiderio che il suo clero e la chiesa della Francia fossero riformati dallo spirito della Compagnia.[14] Possiamo parlare di un pre-seminario diocesano? Nel senso proprio sicuramente no, ciononostante troviamo degli indizi chiari che i gesuiti erano pure nei primi anni della storia direttamente impegnati nella formazione dei sacerdoti secolari.

In questo contesto dobbiamo anche interpretare la corrispondenza tra Ignazio, Jay, il re Fernando I (1531-1564) e papa Paolo III (1534-1549) in cui riflettevano su una eventuale nomina di Jay come vescovo di Trieste. Come motivo principale di rinuncia Jay vedeva il numero alto di giovani che stavano studiando in diverse università seguendo il camino della Compagnia. L’ordinazione episcopale di un professo avrebbe potuto confermare la cattiva immagine che pure i gesuiti si lasciassero sedurre dalle tentazioni della carriera ecclesiastica, e ciò avrebbe potuto essere motivo di scandalo e di disorientamento per i chierici in formazione e preparazione al sacerdozio.[15] In una lettera a Ignazio Jay considera più conveniente proporre al re di fondare un collegio a Vienna se avesse veramente voluto servirsi del carisma della Compagnia.[16]

Non è facile caratterizzare questo tipo di collegio su cui riflettevano Laínez e Jay insieme ad Ignazio. Ovviamente, non si trattava di un centro docenti nel senso stretto, cioè di un liceo o di un’università. I commilitoni seguivano il programma di studi esternamente. Questi collegi svolgevano pure una funzione nella formazione accademica dei propri giovani membri e anche dei futuri sacerdoti che, come secolari, avrebbero mantenuto oltre il tempo degli studi una relazione con la Compagnia. Cioè, questo primo tipo di collegio serviva anche alla promozione vocazionale in senso stretto, con l’intenzione di stabilire una nuova rete sacerdotale. In questo contesto deve anche essere aggiunto che nei collegi non era integrato un proprio programma di studio, ma i gesuiti che vi risiedevano completavano e perfezionavano l’insegnamento universitario con ripetizioni ed esercizi.[17]

Una visione d’insieme della documentazione precedente alla fondazione dei primi collegi pubblici dal 1546 in poi mostra una chiara preferenza per l’insegnamento agli illetterati e ai fanciulli, espressa soprattutto nei programmi scritti dei primi anni. Tale immagine però è contrastata da una presenza notevole di gesuiti alle università – sia come studenti sia come docenti. I primi gesuiti mantenevano senz’altro qualche fedeltà al catechismo benché il valore effettivo non sia facile da indagare.

Sembra però che in questi anni i gesuiti si occupassero di questioni educative soprattutto relative ai giovani studenti nelle università e al loro accompagnamento verso il sacerdozio. Il liceo invece non aveva ancora nessun ruolo. Sulla base dei documenti studiati e dopo una attenta lettura dei decreti del Concilio Lateranense V, dobbiamo però constatare che tale concilio che si riferisce all’insegnamento liceale non sembra aver avuto un’influenza significativa sulle riflessioni dei primi gesuiti prima del 1546.

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L’apertura dei primi collegi pubblici

È ampiamente conosciuto che dalla seconda metà degli anni quaranta, cioè dalla fondazione dei collegi di Gandía (1546) e di Messina (1548), tutta la Compagnia di Gesù fu profondamente trasformata. I collegi erano aperti a tutta la gioventù maschile; i gesuiti stabilivano un proprio programma di studi che loro stessi garantivano come insegnanti. Il fulcro della materia insegnata era sulla grammatica, la retorica e gli humaniora tramite i quali era mediata una solida dominanza delle lingue classiche, del latino e del greco. Gli allievi erano anzitutto adolescenti, non fanciulli e neanche universitari. È interessante costatare che tale trasformazione era in corrispondenza con il decreto 9 del Concilio Lateranense V, che era basato sulla convinzione di una profonda compenetrazione reciproca di materia liceale e insegnamento della fede come base di una società sana.

La fondazione di collegi ha investito in pochi decenni a rotta di collo l’intero mondo cattolico. Il collegio con una imponente chiesa diventava un elemento caratteristico di ogni città. Così fu anche modificata la vita dei gesuiti. Un collegio medio conteneva una comunità compresa tra i12 e i 20 membri che vivevano uno stile conventuale o canonicale e non di predicatori itineranti.

Inoltre, l’educazione non era più orientata verso una promozione vocazionale o una preparazione alla vita sacerdotale ma piuttosto a quella di un buon cattolico. Le Regulae Scholarium Externorum del 1561 stabiliscono che un alunno non doveva entrare nel liceo avendo già deciso di diventare sacerdote, anzi, doveva essere disposto a fare un proprio cammino di maturazione.[18] Il collegio standard era composto da cinque classi liceali, ma alcuni collegi estendevano i loro corsi alla filosofia e a volte anche alla teologia. I giovani gesuiti in formazione venivano educati nei propri collegi. Ogni provincia aveva il suo filosofato e il suo teologato, mentre la loro presenza nelle università esterne era un’eccezione. In questo articolo tutti i cambiamenti sono soltanto accennati e non descritti in dettaglio perché sono ampiamente presentati in vari studi precedenti.

In quest’occasione sarà ripresa ed approfondita soltanto l’iscrizione «Schola di Grammatica, d’Humanità e Dottrina Christiana, gratis». La scritta non rimase un episodio isolato, ma divenne un elemento caratteristico dei collegi. La gratuità aveva ovviamente la sua portata. Paragonandola al Quattrocento, l’Italia nella prima metà del Cinquecento ha subito delle crisi economiche per essere diventata teatro di guerra, quindi non è da negare che nel momento dell’apertura del Collegium Romanum e degli altri primi collegi l’educazione scolare fosse entrata in crisi per un deterioramento economico della società. Ciononostante, prevale il risultato elaborato nei paragrafi precedenti che la tassa scolastica non aveva mai un carattere di sfruttamento e non era mai il motivo che la frequenza scolastica fosse stata riservata alle classi superiori.

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Una politica prudente: le incorporazioni

In primo luogo, tuttavia, va notato che Ignazio era un duro negoziatore quando si trattava di stabilire le condizioni per la fondazione dei collegi. Chi era interessato a chiamare i gesuiti doveva garantire anzitutto il sostentamento dei padri e la manutenzione dell’edificio. Lo stipendio di un insegnante laico era ovviamente maggiore di quello di un gesuita, però l’espansione dei collegi gesuiti e la sostituzione del corpo docente locale erano causati anzitutto dall’ampio processo di clericalizzazione delle scuole: il fattore economico si aggiungeva a questa dinamica, ma non era la sua prima causa. Inoltre, lo stile di vita dei gesuiti non era povero. Ignazio richiedeva degli edifici ben costruiti e anche l’alimentazione doveva essere sana e sufficiente.

Però, nella dotazione dei collegi Ignazio manifestava una particolare creatività che fino a quel momento non era ancora profondamente ricercata. Un forte elemento di critica protestante di fronte al clero cattolico era la loro caccia di benefici sostanziosi. Infatti, molti universitari degli inizi del Cinquecento si dedicavano durante i loro studi ad una assidua ricerca di una prebenda con il più alto reddito possibile. Tanti figli di aristocratici furono investiti di benefici di monasteri vuoti o decadenti per garantire loro una vita benestante. Per contrastare questo malcostume, Ignazio cercò di incorporare tali benefici nella fondazione di un nuovo collegio. Con l’atto canonico di incorporazione il beneficio non era più conferito a una sola persona ma fu integrato nella dotazione del collegio che stava per nascere. Vale a dire, i redditi fino allora ripartiti a un prebendario aristocratico servirono da allora in poi all’insegnamento della gioventù locale. Così il collegio di Vienna, fondato nel 1551, fu dotato dei fondi del monastero carmelitano.[19] Dopo il generalato di Ignazio, nel 1572 fu incorporato nel collegio di Milano un monastero dell’ordine degli umiliati,[20] e il collegio di Friburgo ricevette nel 1582 la sua dotazione grazie all’incorporazione di un’abbazia premostratense.[21] Ci sono anche esempi in cui tale incorporazione fallì a causa della resistenza di Ignazio: Pedro Ortiz voleva mediare che un beneficio con una rendita annuale di 600 scudi fosse assegnata al collegio di Alcalá de Henares. Ignazio rifiutò perché il beneficio avrebbe dovuto essere conferito a un gesuita in persona e non alla fondazione che non corrispondeva all’identità della Compagnia.[22] Questa prassi dell’incorporazione di benefici vacanti in un collegio non solo ha aumentato il livello di istruzione pubblica, ma ha anche stabilito la credibilità della fede cattolica difronte all’accrescimento delle idee protestanti presenti soprattutto nelle scuole.

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Accesso al collegio senza tassa scolastica

Il secondo fattore è la gratuità. Che cosa intendeva Ignazio con questo atto generoso – possibile soltanto con il presupposto delle fondazioni stabilite e garantite? Ignazio si esprimeva chiaramente a favore di accogliere ogni allievo – ricco o povero.[23] Nei paragrafi precedenti però è stato elaborato che le scuole pubbliche avevano fatto parte della società d’Italia da secoli e che di solito la richiesta di un contributo moderato non era un fattore di esclusione.

Ignazio voleva veramente accogliere tutta la gioventù maschile nei collegi? Le sue disposizioni fatte nei regolamenti e nelle sue lettere lo indicano. Ma le fonti non testimoniano expressis verbis la presenza di miseri salvo poche eccezioni. Anzi, la storiografia attuale non vede nell’educazione gesuita nessun aspetto sociale o di integrazione di gruppi marginali. I meriti della Compagnia di Gesù sono piuttosto visti nell’educazione della borghesia.[24]

Per arrivare alla risposta giusta ci si deve rendere conto che Ignazio stabiliva con i suoi collegi delle scuole di grammatica e di humaniora, cioè dei licei, che presupponevano per l’ammissione la capacità di leggere e scrivere. Così decise Ignazio esplicitamente.[25] Per essere precisi: Ignazio non si assumeva la responsabilità dell’insegnamento elementare che sarebbe stato il requisito fondamentale per la classe più povera.

In questo contesto si devono prendere in considerazione le condizioni sociali del suo tempo: una famiglia della classe media aveva bisogno di tre quarti del suo reddito per coprire le necessità di base della vita: cibo e vestiti. L’accesso a un collegio senza tassa scolastica non esonerava i genitori dal provvedere al mantenimento dei loro figli – incluso l’acquisto dei libri. In altre parole: una famiglia di classe sociale bassa non poteva permettersi di mandare il proprio figlio al liceo. Anzi, il figlio doveva mettersi al lavoro per dare sostegno alla famiglia. Ignazio conosceva queste condizioni sociali e mancano degli indizi che intendesse cambiarle. Se le avesse voluto cambiare avrebbe dovuto stabilire un sistema educativo completamente diverso con delle scuole elementari, delle quali la Compagnia ne aveva soltanto pochissime.

Ignazio di Loyola metteva il suo sistema educativo anzitutto al servizio e alla promozione della gioventù borghese, cosa che contraddice le decisioni espresse nei documenti fondativi dei primi gesuiti, che corrisponde o avrebbe compiuto perfettamente i requisiti del 9 decreto del Concilio Lateranense V.

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… e il catechismo agli illetterati e ai fanciulli?

Dove è rimasto il grande ideale fondativo dell’insegnamento del catechismo ai fanciulli ed agli illetterati? Nelle deliberazioni dei primi compagni aveva una chiara priorità. A questo proposito i gesuiti non si presentavano come gli unici o come dei pionieri. Come elaborato in un paragrafo precedente, l’erudizione delle classi inferiori diventava nel Cinquecento oggetto di preoccupazione e riflessione crescente nella classe dirigente. Negli anni quaranta, la Compagnia manteneva la fedeltà a questa attività educativa, altrimenti Ignazio non avrebbe esortato Laínez nel 1544 con delle parole chiare ad investire ogni anno quaranta giorni nell’insegnamento dei fanciulli, secondo le prime costituzioni del 1541.[26] Ma come si deve interpretare il fatto dell’ammonizione? Da un lato, testimonia che l’obbligo di seguire le lezioni di catechismo era preso sul serio. D’altra parte, il fatto che il generale abbia emesso un’ammonizione indica che l’attuazione dell’attività era controversa e incontrava resistenza, almeno da parte di Laínez. Ciononostante, si può arrivare alla conclusione che con l’apertura dei collegi pubblici l’insegnamento ai fanciulli ed illetterati non era più una priorità.

Il fatto colpisce perché tale insegnamento in verità era realizzato – nello stesso tempo in Italia, ma non dalla Compagnia di Gesù. Nel 1536 il sacerdote secolare Castellino da Castello (1479/80-1566), a Milano creò, con dei laici e dei religiosi una scuola in cui la domenica e nei giorni festivi, bambini, ragazzi e ragazze, venivano istruiti nei vangeli, nel leggere, scrivere e nel far di conto – senza pagamento. Il successo fu enorme. Castellino fondò nel 1539 una confraternita che dal 1546 prese il nome Compagnia dei Servi di Puttini in Carità. Le scuole si estesero in pochi anni in tutta Italia, e nel 1560 una aprì a Roma. Nel 1569 Carlo Borromeo decretò che ogni città e ogni villaggio dovesse avere una tale scuola. Nel 1566 Milano contava trenta scuole di questa confraternita.[27] È quindi notevole che negli indici delle edizioni delle lettere d’Ignazio il nome Castellino da Castella non appaia. Sembra che i due uomini non abbiano avuto contatti tra loro, il che è sorprendente per Ignazio, che era un chiaro networker, con una ampia rete di relazioni.

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Conclusione

Questo breve articolo segue lo scopo di descrivere, sullo sfondo dello stato attuale della ricerca sull’educazione scolare in Italia, alcuni aspetti del rispettivo sviluppo nella giovane Compagnia di Gesù, soprattutto durante il generalato d’Ignazio di Loyola (1541-1556). I primi gesuiti s’obbligavano all’insegnamento catechistico, mentre il Concilio Lateranense V promosse piuttosto la scuola liceale. Mentre si constata nella prima metà degli anni quaranta una preferenza per la formazione sacerdotale, i gesuiti passarono con i collegi aperti all’insegnamento liceale in corrispondenza con le disposizioni del Concilio Lateranense V. I gesuiti non richiedevano una tassa scolastica, che comunque non era un atto innovativo; malgrado quest’agevolazione i collegi della giovane Compagnia di Gesù s’indirizzavano ai figli della borghesia di classe medio-alta.

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  2. David Salomoni. Educating the Catholic People. Religious Orders and Their Schools in Early Modern Italy (1500-1800) (Leiden, Boston: Brill), 2.

  3. Markus Friedrich, “Archive und Verwaltung im frühneuzeitlichen Europa. Das Beispiel der Gesellschaft Jesu,” Zeitschrift für historische Forschung 35 (2008): 381-382.

  4. «[…] che i maestri di scuola e i precettori istruiscano ed esaminino i loro scolari, fanciulli o adolescenti, non solo nella grammatica, nella retorica e in altre materie simili, ma anche in quello che riguarda la religione, come i comandamenti di Dio, gli articoli della fede, gli inni sacri, i salmi e le vite dei santi: nei giorni festivi non potranno insegnare loro se non quello che attiene alla religione e ai buoni costumi e istruirli in queste cose, nonché esortarli, e, per quanto è possibile, costringerli in queste cose, nonché esortarli, e, per quanto è possibile, costringerli, a andare in chiesa non solo per ascoltare la messa, ma anche per assistere ai vespri e ai divini uffici. Allo stesso modo li spronino ad ascoltare le prediche e i sermoni e non leggano loro nulla contro i buoni costumi e a favore dell’empietà.» (Alberigo, Giuseppe, ed. Concilium Oecumenicorum Decreta. [Bologna: Edizioni Dehoniane], 621).

  5. Questa affermazione contraddice le conclusioni di André Ravier chi interpreta questo decreto come obbligo all’insegnamento del catechismo ai fanciulli. (André Ravier. Ignatius von Loyola gründet die Gesellschaft Jesu [Würzburg: Echter] 55).

  6. David Salomoni. Educating the Catholic People. Religious Orders and Their Schools in Early Modern Italy (1500-1800) (Leiden, Boston: Brill), 17-35.

  7. Sancti Ignatii de Loyola Constitutiones Societatis Jesu, tomus primus. (Roma: Institutum Historicum Societatis Iesu), 9-14.

  8. Ibidem, p. 14-21.

  9. Ibidem, p. 33-48.

  10. Ibidem, p. 48-65.

  11. John O’Malley. Die ersten Jesuiten (Würzburg: Echter), 234.

  12. Sancti Ignatii de Loyola Constitutiones Societatis Jesu, tomus primus (Roma: Institutum Historicum Societatis Iesu), 174-178.

  13. Venezia, 25 gennaio 1534 e Bressanono 13 maggio 1544, Diego Laínez a Ignazio di Loyola in: Epistolae et acta Patris Jacobi Lainii, tomus primus (1536-1556) (Madrid), nr. 15, p. 26-28; nr. 17, 33-36.

  14. Trento, febbraio o marzo 1546, Claude Jay a Ignazio di Loyola; Trento, 10 maggio 1546, Claude Jay a Ignazio di Loyola in: Epistolae PP. Paschasii Broëto, Claudii Jaji, Johannis Codurii et Simonis Rodericii (Madrid), nr. 15, p. 300-305; nr. 17, p. 307-309.

  15. Trento, 10 dicembre 1546, Claude Jay a Ferdinando I; Trento 22 dicembre 1546, Claude Jay a Paolo III in Epistolae PP. Paschasii Broëto, Claudii Jaji, Johannis Codurii et Simonis Rodericii (Madrid), nr. 26, p. 327-329; nr. 27, p. 329-332.

  16. Trento, 4 dicembre 1546, Claude Jay a Ignazio di Loyola in Epistolae PP. Paschasii Broëto, Claudii Jaji, Johannis Codurii et Simonis Rodericii (Madrid), nr. 25, p. 325-327.

  17. Paul Oberholzer, “Desafíos y exigencias frente a un nuovo descubrimiento de Diego Laínez,” (Roma: Institutum Historicum Societatis Iesu) 84-87.

  18. Lukács, Ladislaus, ed. Monumenta Paedagogica Societatis Iesu, tomus III (1557-1572) (Roma: Institutum Historicum Societatis Iesu), nr. 7, p. 43-51.

  19. Bernhard Duhr. Geschichte der Jesuiten in den Ländern deutscher Zunge im XVI. Jahrhundert (Freiburg i.Br.: Herder), 49.

  20. Oberholzer, Paul. “Carlo Borromeo und die ersten Jesuiten in der Eidgenossenschaft,” (Stuttgart: Kohlhammer), 154.

  21. Strobel, Ferdinand. “Die Gesellschaft Jesu in der Schweiz,” (Bern: Verlag Francke), 163.

  22. Enrique García Hernán. Ignacio de Loyola (Madrid: Taurus), 388.

  23. John O’Malley. Die ersten Jesuiten (Würzburg: Echter), 239.

  24. David Salomoni. Educating the Catholic People. Religious Orders and Their Schools in Early Modern Italy (1500-1800) (Leiden, Boston: Brill), 42-47.

  25. John O’Malley. Die ersten Jesuiten (Würzburg: Echter), 246.

  26. Paul Oberholzer, “Desafíos y exigencias frente a un nuovo descubrimiento de Diego Laínez,” (Roma: Institutum Historicum Societatis Iesu), 70.

  27. David Salomoni. Educating the Catholic People. Religious Orders and Their Schools in Early Modern Italy (1500-1800) (Leiden, Boston: Brill), 95-97; Cajani, Luigi. “Castello, Castellino da.” Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 21, 1978. Accesso 10 Marzo, 2024. https://www.treccani.it/enciclopedia/castellino-da-castello_(Dizionario-Biografico).